Massimo Bosetti muratore carpentiere di Mapello, accusato dell’omicidio di Yara Gambiraso, la ginnasta 13enne, non sono certe le dimaniche dell’omidicio, ma restano le prove del dna di Bosetti da una traccia di sangue sui legging di Yara, il furgone bianco del muratore visto dalle telecamere di sorveglianza, le fibre di tessuto sul corpo di Yara che collegano al furgone di Bosetti, la prova dei tabutali telefonici.
Ed è per questo che, dopo una requisitoria fiume, durante due udienze, la pubblica accusa chiede per l’unico imputato, Massimo Giuseppe Bossetti, l’ergastolo, con sei mesi di isolamento diurno.
Il magistrato lo accusa: «avere mentito per tutta la vita, tanto che era chiamato il Favola», Questo serve all’accusa per dire che «in questo processo ha sempre negato tutto, ma in modo inconcludente». La presunta calunnia a carico di un suo collega di lavoro, Massimo Maggioni, «serviva per accusarlo di un delitto che lui sapeva bene avere commesso». Un delitto «doloso e pluriaggravato».
«Si è voluto infliggere particolare dolore e ci si è riusciti – scandisce -: non vi è dubbio che l’omicidio sia volontario perchè abbandonandola in quel campo, si è causata volontariamente la morte» della ragazzina. «Non è possibile individuare un movente certo», ma questo argomenta Letizia Ruggeri, «non dà meno significato», ovvero non cambia nulla all’impianto dell’accusa, che richiama dalle tenebre del passato il delitto della praticante commercialista Paola Mostosi, uccisa nel 2002 sempre nella Bergamasca dal camionista Roberto Paribello, che la tramortì e la strangolò dopo averla caricata a bordo del suo camion alla fine di un’intera giornata di lavoro, ne buttò il corpo in un canale irriguo e, tornato a casa, regalò il cellulare della vittima. Vicende certo con dei risvolti diversi («ma anche Yara potrebbe essere stata tramortita», ha detto il pm) perchè Paribello, che si assunse la responsabilità del delitto pur senza mai chiarirne il movente in modo preciso, ma caratterizzate dalla stessa «incapacità di controllarsi»
Il magistrato definisce, totale incapacità di autocontrollo che spinge Bosetti a scrivere in maniera stentata le lettere hard, alla detenuta Gina, che secondo il pm tonano alla ricerca di ragazzine 13enni, questo lo prova il contenuto del suoi 2 pc sequestrati: «non è credibile siano state fatte dalla moglie di Bosetti, o non da sola, quindi sono certamente state fatte anche da lui». Da Bossetti, insomma «un tripudio di menzogne»
I suoi avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini nelle prossime udienze faranno ricorso, hanno sempre creduto nell’innocenza di Massimo Bosetti e nelle prove incredibili e piene di lacune, a partire dal dna.