Visita di Luigi Di Maio negli USA nel novembre scorso, durante il quale ha avuto un colloquio con un diplomatico di lungo corso Steve Bannon, ex stratega di Trump che conosce molto bene la sitazione politica italiana, l’ha studiata e sperimentata sul campo.
Le considerazioni di Bannon sulla vittoria dei 5 stelle alle elezioni del 4 marzo 2018 è “Mettiamoli alla prova”, per la stabilità politica del belpaese.
Al Corriere della Sera, che lo intervistò a Roma dove era arrivato per seguire le votazioni, Bannon sostenne che “questa elezione è cruciale per il movimento populista globale” che può contare su quasi due terzi del Paese. “Più che una lettura della realtà politica italiana – dice la fonte – quella di Bannon appare una speranza di governo che impegna solo il suo assertore”.
il risultato, affermò lo stesso Di Maio dopo l’incontro con Conrad Tribble, vice-assistente del segretario di Stato per gli Affari europei, è che “il dipartimento di Stato Usa ha espresso apprezzamento per quelle che sono le posizioni del M5S, abbiamo eliminato le dicerie, le demonizzazioni del movimento sulla politica estera”. In quella missione, Di Maio, accompagnato dall’ambasciatore Armando Varricchio, ha incontrato al Congresso anche alcuni parlamentari democratici e repubblicani con i quali ha parlato tra l’altro di Nato, Ue, sanzioni a Russia, riforma fiscale, politica interna. L’America non è in cerca di un “Orban italiano” o di costruttori di “muri” per difendersi dall'”invasione dei migranti”. Gli Usa si attendono che il nuovo governo mantenga gli impegni assunti in alcune aree a rischio – l’Afghanistan, in primo luogo, il Niger, la Libia – e in ambito Nato.
Un punto di frizione forte, rimarca la fonte, potrebbe avvenire se un eventuale governo a guida 5 Stelle dovesse ritirare i soldati italiani impegnati in Afghanistan, un fronte che Washington ritiene fondamentale nel contrasto al terrorismo jihadista, tanto più dopo la sconfitta dell’Isis in Siria e in Iraq. Così come le intenzioni dei 5 Stelle sulla Libia appaiono, agli occhi della diplomazia Usa, incoraggianti e in continuità, di fatto, con l’azione svolta dal governo uscente.
Quanto all’atteggiamento verso Bruxelles, l’amministrazione Trump non lo ritiene un elemento centrale per valutare il grado di affidabilità di un alleato: “Si sa – spiega ancora la fonte – che il presidente Trump preferisce sviluppare relazioni bilaterali”. Semmai, aggiunge la fonte, i più stretti collaboratori di The Donald apprezzarono molto il giudizio estremamente positivo che il leader dei 5 Stelle espresse sulla riforma fiscale repubblicana, fino al punto da ritenerla un “modello” da riproporre in Italia. Quanto poi alle politiche comunitarie, Di Maio ha chiarito che “se il Movimento Cinque Stelle andrà al governo resterà nella Ue ma magari metterà in discussione alcuni trattati e la questione del deficit al 3%”. Di Maio solo alcuni giorni fa parlava di Unione Europea “alveo naturale” dell’Italia e sottolineava che la politica estera di un eventuale governo M5S sarà imperniata su alcuni punti “inderogabili”, ovvero “rispetto del diritto internazionale e della carta delle Nazioni Unite”, rispetto “del multilateralismo e della politica della non ingerenza”, “cooperazione internazionale”.
Sulla Nato i 5 Stelle in passato non avevano nascosto posizioni radicali, fino ad arrivare a ipotizzare un’uscita dall’organismo, salvo poi girare sulla necessità di una riforma. “Abbiamo sempre detto e lo dirò anche oggi che il nostro obiettivo è restare nella Nato ma abbiamo perplessità sulla spesa al 2% del Pil in armamenti. A noi farebbe piacere avviare dei progetti in ottica di sicurezza per rafforzare l’intelligence, investimenti in innovazione che possano anche essere partnership esclusive con gli Stati Uniti”. La lettura che la stampa nostrana dette di quella visita era di un tentativo di accreditamento di un giovane di belle speranze presso il potente alleato americano. “Ma questo – si limita ad osservare la fonte Usa – è avvenuto da sempre e per politici di ogni colore”. Il problema semmai è verificare queste intenzioni in una eventuale azione di governo. Per la quale Washington non fa il tifo ma nemmeno considera un salto nel buio. E questa è già una notizia.