Prima c’è la modella che dopo un matrimonio breve con il calciatore pretende il mantenimento dell’ex in base al suo tenore di vita, poi c’era Lisa Lowenstein che si è vista negare l’assegno di mantenimento dall’ex marito Vittorio Grilli, ministro del governo Monti, perchè economicamente autosufficiente.

Adesso la Cassazione stabilisce che il tenore di vita non è più un diritto, e l’assegno di divorzio non è più una capacità di automantenersi e ha una funzione «assistenziale, compensativa e perequativa».
Ogni divorzio fa storia a se, l’appannaggio viene calcolato in base alla durata del matrimonio, all’età della signora e al contributo profuso nella vita insieme.
«Con questa sentenza si ripristina la giustizia sociale», afferma l’avvocato Gian Ettore Gassani. Il pronunciamento, che impone a tutti i tribunali di adeguarsi, è della Cassazione intervenuta a Sezioni unite: nello stabilire l’assegno di divorzio «si deve adottare un criterio composito» che tenga conto «delle rispettive condizioni economico-patrimoniali» e «dia particolare rilievo al contributo fornito dall’ex coniuge» al «patrimonio comune e personale, in relazione alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali future e all’età».
Con la nuova sentenza della cassazione a sezioni unite si azzera la sentenza della cassazione Grilli del 2017 che escludeva l’assegno di mantenimento se autosufficienti.
«E’ da salutare con favore l’intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in tema di assegno divorzile – comment l’avvocato Marco Meliti, esperto matrimonialista – volto a mitigare gli effetti delle precedenti sentenze che sembravano aver irrimediabilmente segnato il tramonto del diritto alla conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Correttamente gli Ermellini hanno inteso riequilibrare tale assetto, richiamandosi ai principi costituzionali di pari dignità e di solidarietà che permeano l’unione matrimoniale, anche dopo lo scioglimento del vincolo. In tal modo la Cassazione ha valorizzato anche il principio di uguaglianza tra lavoro casalingo e quello professionale, offrendo le dovute garanzie a quelle donne che, spesso proprio su richiesta del marito, avevano rinunciato alle proprie ambizioni lavorative per dedicarsi alla famiglia, favorendo così il successo professionale del marito e la formazione di un patrimonio comune. Donne che, altrimenti, dopo molti anni di matrimonio ed in età avanzata si vedevano costrette a reinventarsi un’occupazione lavorativa, in assenza di un’adeguata formazione professionale ed in un mercato lavorativo recessivo».
Reposta per primo quest’articolo