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A Londra apre il primo ristorante pup up in 3D, dove cibo, bicchieri, posate, piatt, sono realizzati con la stampante 3D, il lacale si chiama “Foodink”. Fino ad adesso la nuova era tecnologica era stata applicata nel campo medico, nel disegn, mai nella gastronomia.
I piatti sono un mix di ingredienti classici e molecolari, per il momento il menù inedito è stato creato solo per 3 giorni a pochi fortunati che hanno pagato 264€ a persona. E’ una particolare stampante uspeciale realizzata dalla compagnia byFlow (che nel 2014 creò Focus, la prima stampante portatile 3D multi-materiale ) e caricata non con la resina ma con ingredienti “freschi”. Dalle verdure ai grassi dalle farine alle carni la particolarità di questo sistema è unire i prodotti e metterli nel piatto, con forme difficilmente riproducibili da un essere umano.
La cena è stata ideata ideata dai master chef Joel Castanye e Mateu Blanche, provenienti dai ristoranti stellati La Boscana in Barcellona e elBulli a Londra, si è svolta al Dray Walk in Storeditch, nel cuore del distretto creativo e hi-tech della capitale britannica. Ed è stata definita “un’esperienza gourmet unica… dove la cucina incontra l’arte, la filosofia e le tecnologie del futuro”.
Tra i piani dell’azienda è di esportare i ristoranti anche nella altre parti del mondo, a ottobre a Roma e poi Torino, da Berlino a Dubai, da Seoul a New York.
Lo chef Fabio Tacchella, consigliere della Federazione Italiana Cuochi, esperto dei nuove teconologie ha commentato a questo modo: «La trovo un’iniziativa molto interessante. Avevo già sentito parlare di stampanti 3D per il settore food, ed è incredibile che siano riusciti ad aprire un intero ristorante incentrato su questo nuovo format. Ovviamente è una scelta più che giusta, perché la novità attrae sempre, bisognerà però aspettare per capire quale sarà la risposta del pubblico, anche a lungo termine. Ma come la nouvelle cuisine e dopo di questa la cucina molecolare, anche questa tecnica “alle stampanti”, invece che hai fornelli, può dare spunti positivi e interessanti al settore della ristorazione».
«Le possibilità di sviluppo di questo format sono infinite- ha continuato Tacchella- l’importante è che non ci siano tentativi di stravolgere tradizioni ben radicate, a partire da quella italiana. Non sarebbe corretto chiamare, ad esempio, Amatriciana un piatto realizzato con prodotti differenti da quelli tradizionali, solo perché sono più adatti alle stampanti. Bisogna sempre stare molto attenti che queste innovazioni non si scontrino con le tradizioni. D’altra parte però noi cuochi potremo attingere da queste tecnologie, servendocene per esaltare i nostri prodotti e migliorare i nostri piatti, sia nell’estetica che nel gusto. Dopotutto è stato così anche per la nouvelle cuisine: prima poco considerata, poi conosciuta e osannata in tutto il mondo; ci ha insegnato tecniche che hanno contribuito a portare la cucina italiana al top. Potrebbe essere lo stesso anche con questo nuovo format» ∞
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