Per la prima volta un nuovo vaccino per fermare l’HIV in quei bambini che sono stati contagiati dai genitori, quei bambini che sono stati vittima del virus dell’HIV. Il nuovo farmaco cerca di rieducare il sistema immunitario, in modo da evitare lo sviluppo dell’HIV responsabile dell’AIDS. Il via alla sperimentazione all’ospedale “Bambin Gesù” di Roma, su 45 bambini.
«E’ una strategia mirata – spiegano dall’ospedale della Santa Sede – a educare il sistema immunitario di una persona con Hiv per aiutarlo a reagire contro il virus che lo ha infettato». L’annuncio è stato dato ieri alla vigilia della giornata annuale dell’AIDS, il primo dicembre.
In contemporanea la stessa sperimentazione anche in Thailandia (Bangkok) e Sud Africa (Cape Town). La storia di questo vaccino parte da un progetto internazionale di ricerca (Epiical), finanziato dal National Institute of Health americano, che ha come capofila il Bambino Gesù. Una prima sperimentazione era stata svolta nel 2013 dall’unità operativa Infettivologa del Bambino Gesù, all’interno del Dipartimento pediatrico universitario ospedaliero, diretto dal professor Paolo Rossi, in collaborazione con l’Università di Tor Vergata.
Ogni anno nel mondo ci sono cicra 180mila nuovi casi di bambini che hanno contratto l’HIV dai propri genitori, in totale sono 1,8 milioni di bambini. Fortunatamente in Italia casi di bambini nati con l’HIV sono quasi scomparsi.
Purtroppo il grave problema è presente ancora in Thailandia e Sud Africa. La sperimentazione del nuovo vaccino nasce dal fatto che i farmaci antiretrovirali non possono essere assunti a vita, nel tempo possono portare problemi di tossicità, i bambini una volta diventati adolescenti possono non essere più costanti nella terapia e quindi perdere la loro efficacia.
Spiega il dottor Paolo Palma, immunoinfettivologo del Bambino Gesù: «Puntiamo alla remissione virologica, un controllo del virus senza terapia antiretrovirali. L’obiettivo è ottenere un controllo della malattia tale da ridurre al minimo il ricorso alle terapie antiretrovirali. Il nostro studio, in maniera pionieristica, è iniziato dieci anni fa. Siamo fiduciosi che dalla ricerca pediatrica arriveranno le nuove risposte terapeutiche alle esigenze dei pazienti di tutte le fasce di età». In Italia le categorie più a rischio ormai sono gli adolescenti e i giovani adulti. «Questo approccio con i bambini appena nati, ci consente di comprendere meglio ciò che succede in alcuni soggetti che controllano lo sviluppo della malattia. Studiarli, ci consente di capire le differenze con gli altri e fare sì che queste che sono delle eccezioni, diventino una sorta di regola. In futuro potremo anche ipotizzare un vaccino terapeutico per tutte le fasce di età».